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La guerra alla droga ha fallito.
Abbiamo visto diminuire i nostri diritti con l’incarcerazione di massa, spendendo miliardi di euro per applicare norme punitive. Altri miliardi sono persi ogni anno, in entrate fiscali, per la mancata legalizzazione della cannabis. Nel mondo c’è chi ha cominciato a cambiare strada.
Proibizionismo
Perseguire i consumatori di marijuana è l’elemento principale che ha caratterizzato la “war on drugs” italiana.
Dal 1991, anno dell’entrata in vigore della legge Iervolino-Vassalli e dell’inizio della guerra alla droga in Italia, centinaia di migliaia di persone sono finite nel circuito della giustizia penale, nei tribunali e nelle carceri del nostro paese.
Le cose sono peggiorate dal 2006, anno in cui in Italia è entrata in vigore la legge Fini-Giovanardi (poi abrogata dalla Corte Costituzionale nel 2014), che, equiparando le cosiddette droghe “leggere” a quelle “pesanti”, ha portato in carcere oltre 250.000 persone, con enormi esborsi per le casse dello Stato.
Nel 2014, abrogata la Fini-Giovanardi, le segnalazioni all’Autorità giudiziaria per reati relativi all’articolo 73 del D.P.R. 309/90 (detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti) sono risultate di gran lunga più numerose rispetto a quelle identificate dall’articolo 74 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti): un dato che conferma come la legge fosse strutturata per colpire i “pesci piccoli”, senza spaventare le associazioni criminali più organizzate. I dati in possesso per il 2016 confermano, nonostante il ritorno alla più “morbida” legge Iervolino-Vassalli, la situazione già descritta in precedenza e ci dicono che le detenzioni per fatti di droga aumentano e costituiscono più del 40% dell’incremento registrato al termine dell’anno sul totale delle presenze.
Solo nel 2016 sono entrati in carcere per violazione dell’articolo 73 del D.P.R. 309/90, 13.356 persone, pari al 28,21% del totale degli ingressi.
La maggior parte dei reati contestati inoltre riguardava le cosiddette droghe leggere, ovvero le sostanze che sono meno dannose per i consumatori e meno remunerative per le narcomafie. Nel 2014 questo dato era del 49,16%.
La criminalità organizzata e i cartelli della droga, nel frattempo, sono stati gli unici a guadagnare dal proibizionismo.
Secondo uno studio di Transcrime i ricavi della criminalità organizzata dal mercato della droga nei 27 paesi UE [lo studio è precedente all’ingresso della Croazia] ammonterebbero a 27,7 miliardi di euro; la cannabis contribuirebbe con 6,7 miliardi.
In Italia questi soldi vanno ad arricchire ‘ndrangheta, camorra e Cosa Nostra e vengono riciclati in varie attività legali: bar e ristoranti, costruzioni, commercio all’ingrosso e al dettaglio (in particolare di cibo e abbigliamento), trasporti, attività immobiliari hotel.
Avere un dato certo sui ricavi delle mafie, tuttavia, è praticamente impossibile, tanto che, se lo studio di Transcrime rileva i ricavi dal mercato nero italiano intorno ai 3 miliardi di euro per la sola cannabis (dati riferiti al 2008), altri studi danno numeri anche molto diversi, arrivando fino ai 9,5 miliardi di euro di uno studio accademico condotto nel 2011 da Fabi, Ricci e Rossi (anno di riferimento: 2010).
Va comunque sottolineato che, persino nell’ipotesi meno negativa, quella di Transcrime, questi numeri collocano l’Italia al secondo posto in Europa dopo la Gran Bretagna (5 milioni di euro contro i 5,3 inglesi) per ammontare annuale del guadagno per la criminalità organizzata.
Se, tuttavia, non sappiamo di preciso quanto guadagni la criminalità organizzata, sappiamo – leggendo la Relazione annuale al parlamento del 2017 – che nel 2013 le attività connesse agli stupefacenti hanno rappresentato quasi il 70% del complesso delle attività illegali stimate dalla contabilità nazionale e pesano per circa lo 0,9% sul Pil.
Fonti
6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe. Dopo la Fini-Giovanardi: un anno di transizione e contraddizioni. AA.VV. Edizione 2015 su dati 2014
8° Libro Bianco sulla legge sulle droghe. Dalla semina americana al deserto italiano. AA.VV. Edizione 2017 su dati 2016
Relazione annuale al parlamento 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia – Dipartimento delle Politiche Antidroga
Transcrime. From illegal markets to legitimate businesses: the portfolio of organised crime in Europe – Final Report of Project OCP – Organised Crime Portfolio
D.P.R. 309/90 – Il testo del D.P.R. 309/90
Legalizzazione e regolazione
Il consumo di marijuana, al pari di alcol e tabacco, non dovrebbe essere illegale.
La legalizzazione e la regolazione della marijuana potrebbero portare al nostro paese numerosi vantaggi in termini di economia legale, sottraendo guadagni alla criminalità organizzata.
Inoltre, le forze dell’ordine e i fondi a esse destinati potrebbero essere impiegate per crimini di ben altra portata.
La criminalizzazione della marijuana ha finora prodotto danni soprattutto ai giovani che hanno subito l’onta di un arresto o di una condanna al carcere.
Il nostro impegno per la legalizzazione della marijuana
La Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili vede al proprio interno alcune delle organizzazioni tra le più attive nella lotta per la legalizzazione e la regolamentazione della marijuana: Antigone, Associazione Luca Coscioni, Forum Droghe, Società della Ragione.
Con questa campagna punta a sostenere i processi e le iniziative legislative adottate per cambiare le leggi in vigore sulle droghe. Per farlo la Cild lavorerà a stretto contatto con i propri membri, con le organizzazioni esterne, i gruppi per i diritti civili e i parlamentari.
La Cild sostiene le proposte dirette alla legalizzazione della marijuana e alla depenalizzazione di ogni forma di consumo di droghe; particolare accento è messo anche sulla decriminalizzazione di questi comportamenti.
Cannabis terapeutica
In Italia il ricorso a medicinali terapeutici è legittimo dal 2007, quando l’allora Ministro della salute Livia Turco ha riconosciuto con un decreto la liceità dell’utilizzo terapeutico del THC (il più importante principio attivo della cannabis). Tuttavia la possibilità per i pazienti di accedere a farmaci e prodotti terapeutici a base di cannabis è stata una strada irta di ostacoli.
Uno dei maggiori problemi resta quello dell’approvvigionamento del farmaco: lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze – finora unico autorizzato a produrre medicinali cannabinoidi in Italia – non è in grado di soddisfare il fabbisogno dei pazienti italiani.
La procedura per ottenere i farmaci è macchinosa, lenta e prevede numerosi passaggi: medico curante, azienda sanitaria, Ministero della salute, mercato estero, importazione, farmacia ospedaliera.
Accade così che i tempi della richiesta superino i trenta giorni previsti e che, in alcuni casi, si dilatino fino a richiedere mesi di attesa. Inoltre il prezzo del prodotto, sottoposto a tutti questi passaggi, può arrivare a livelli molto alti.
Questo fa sì che spesso chi debba curarsi – e abbia una regolare autorizzazione per farlo – preferisca coltivare da sé marijuana in casa, andando incontro alle conseguenze penali che questo comporta, compresa la coltivazione a fini di spaccio nella peggiore delle ipotesi.
Inoltre, gli ostacoli frapposti all’utilizzo di questi farmaci limitano anche la possibilità di intervenire su patologie come il glaucoma e sui sintomi di malattie neurologiche come la sclerosi multipla, o su effetti avversi (nausea e vomito) di trattamenti particolarmente invasivi come la chemioterapia.
Queste considerazioni trovano riscontro nei dati.
In Italia nel 2013 solo 60 persone sono riuscite – con apposita autorizzazione del Ministero della salute – a importare medicinali a base di cannabis dall’Olanda.
Il Decreto Fiscale approvato il 30 Novembre 2016 ha stanziato 2,3 milioni di euro per l’incremento della produzione della cannabis ad uso terapeutico e autorizzato altri soggetti a coltivare cannabis con fini medici.
La fine della XVII Legislatura ha però visto sfumare l’approvazione di una legge sulla cannabis terapeutica – c.d. “Stralcio Miotto” – che avrebbe tutelato e garantito il diritto di cura di tutti i pazienti bisognosi del farmaco.
Fonte
“La cannabis fa bene. La cannabis fa male.”, A cura di Antonella Soldo, Francesco Gentiloni. Premessa di Luigi Manconi – Reality book, 2015
Depenalizzazione, legalizzazione, liberalizzazione
La legalizzazione è l’emanazione di leggi per regolare la coltivazione, la produzione, il commercio, la vendita e il consumo.
Avviene già con altre sostanze psicoattive come l’alcol e il tabacco: le sostanze legalizzate divengono beni soggetti a consumo, la cui vendita e fruizione sono regolate da apposite norme in un mercato legittimo.
La liberalizzazione prevede la totale abolizione di qualsiasi tipo di regolamentazione giuridica che vieti o regoli la coltivazione, produzione, vendita o consumo di una o più droghe. Un bene liberalizzato non ha obbligo di rispettare specifici standard di qualità o sottostare a determinati limiti nella sua diffusione.
Con la depenalizzazione una sostanza continua ad essere ritenuta illegale; ciò che si rimuove sono le sanzioni previste, tanto per i consumatori che ne detengono piccole quantità, quanto per i diversi comportamenti penalmente più rilevanti. In questo modo non si prevedono sanzioni o se ne prevedono solamente di tipo amministrativo.
Criminalizzazione di massa
Se si vogliono risolvere i problemi legati alla droga, abbiamo bisogno di concentrarci di meno sul circuito penale e di più sulla prevenzione delle dipendenze. Dovremmo proporre sostegno alle persone con dipendenze, non arrestarle e incarcerarle.
In Italia è stato fatto l’esatto opposto. Dall’inizio della war on drugs l’utilizzo di droghe è stato trattato solo come un problema di giustizia, con la costruzione di un enorme sistema di repressione.
Dal 2006 al 2014 sono stati circa 250.000 gli incarcerati per reati di droga – intorno al 40% della popolazione detenuta totale.
In questi stessi anni gli ingressi in carcere per reati in violazione dell’art. 73 DPR 309/90 [che colpisce consumatori e spacciatori – molto meno grave quindi dell’art. 74, che colpisce l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti] hanno costituito circa il 30% degli ingressi totali (con punte del 32,21% nel 2009), con numero altissimi di stranieri, a testimoniare che queste politiche colpiscono le fasce più deboli ed emarginate della popolazione.
Questo processo massiccio di incarcerazione ha contribuito alla condanna che l’Italia ha ricevuto nel 2013 da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamento inumano e degradante dei detenuti dovuto al sovraffollamento.
Gran parte della popolazione detenuta per droga ha problemi di tossicodipendenza, problemi che lo scarso trattamento possibile in carcere non riesce ad affrontare e superare – senza contare che, nel 2014, solo 22 detenuti tossicodipendenti su 100 scontavano la propria pena in affidamento terapeutico.
Inoltre, la modifica della normativa del 1990 da parte della legge Fini-Giovanardi, con la quale il programma terapeutico non sospende più l’erogazione della sanzione, ha fatto sì che il programma si presentasse agli occhi del consumatore come un “onere”, se non una punizione, in aggiunta a quelle già comminate, con conseguente crollo delle richieste di programma terapeutico per le persone segnalate alla Prefettura per uso personale (secondo l’articolo art. 75), come dimostrano i dati: 6713 nel 2006 e già 3008 – meno della metà – nel 2007, per arrivare alle 214 richieste di terapia nel 2013.
Questa criminalizzazione di massa non è quindi riuscita a ridurre il consumo di droga, anzi: le statistiche ci dicono che è invece aumentato, soprattutto per quanto riguarda le “droghe pesanti”, cocaina in primis.
La guerra alla droga ha effettivamente fatto più male che l’uso stesso della droga, mettendo centinaia di migliaia di persone dietro le sbarre, non riuscendo a trattare le dipendenze e non consentendo un miglioramento nelle prospettive di vita e di salute di chi fa uso di droga.
Fonti
6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe. Dopo la Fini-Giovanardi: un anno di transizione e contraddizioni. AA.VV. Edizione 2015 su dati 2014
8° Libro Bianco sulle droghe. Dalla semina americana al deserto italiano. AAVV 2017
Antigone. Rapporto 2015 sulle condizione di detenzione di Antigone “Oltre i tre metri quadri”, Edizioni Gruppo Abele, 2015
Antigone. “Torna il carcere. XIII Rapporto sulle condizioni di detenzione” 2017
Relazione annuale 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia. Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Politiche Antidroga
Una condanna a vita: superare lo stigma
Una condanna penale per reati di droga può distruggere la vita delle persone e in particolare dei ragazzi che un giorno dovranno affrontare il mondo del lavoro.
A tutti può capitare una disavventura, ma marchiare un giovane a vita può significare cancellarne il futuro: ogni condanna, infatti, porta con sé pene accessorie che possono influire sul normale reinserimento lavorativo o sociale.
L’etichetta della persona arrestata o condannata per droga segue una persona per tutta la vita, anche quando non apre le porte del carcere. Se poi anche questo dovesse accadere, il rischio è contribuire decisamente a trasformare un consumatore in criminale. Il carcere è fabbrica di recidiva.
Va ricordato che l’unica differenza tra una persona condannata per droga e una non condannata spesso è solo la sfortuna di essere stati sorpresi mentre si faceva quello che, secondo recenti statistiche, 13 milioni di italiani hanno già fatto nella propria vita.
Fonte
Cannabis Legale. Statistiche riportate dall’Intergruppo Parlamentare “Cannabis Legale”
La guerra alla droga e gli stranieri
La guerra alla droga colpisce le fasce più deboli della popolazione e, tra queste, in particolare gli stranieri. Nel 2016 circa il 51% degli ingressi in carcere per reati in violazione dell’art. 73 DPR 309/90 riguarda cittadini stranieri. Risultano essere stranieri oltre un terzo del totale dei detenuti ad aver violato l’art. 73, e già nel 5° Libro Bianco sulla legge sulle droghe, si faceva notare che “l’incarcerazione per violazione del comma 5 del 73 [ovvero fatti di lieve entità, ndr] riguarda in massima parte cittadini stranieri: ogni sette detenuti per infrazione del comma 5 del già citato articolo 73, ben sei sono stranieri. C’è una chiara disparità/discriminazione a scapito degli stranieri”.
Questo è l’esito di una giustizia fortemente selettiva su base etnica: a parità di reato i detenuti stranieri sono maggiormente soggetti a provvedimenti di custodia cautelare.
Infine, gli stranieri accedono in minor misura rispetto agli italiani a misure alternative per tossicodipendenti, anche a causa di problemi legati al loro status di soggetti irregolari.
Fonti
Detenuti stranieri in Italia, Patrizio Gonnella, Editoriale Scientifica, 2015
5° Libro Bianco sulla legge sulle droghe. AA.VV. Edizione 2014 su dati 2013
6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe. Dopo la Fini-Giovanardi: un anno di transizione e contraddizioni. AA.VV. Edizione 2015 su dati 2014
8° Libro Bianco sulle droghe. Dalla semina americana al deserto italiano. AAVV 2017
Antigone. “Torna il carcere. Tredicesimo Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione” 2017
I costi reali del proibizionismo
I costi della guerra alla droga sono altissimi per l’Italia.
Sono altissimi quelli spesi per una battaglia che, dopo 25 anni, possiamo con ogni evidenza dire persa.
Milioni di euro per le forze dell’ordine – circa 180.000.000 all’anno dal 2008 al 2013 – che sarebbero potuti essere impiegati per contrastare le organizzazioni criminali e i reati più gravi, e invece sono stati utilizzati per colpire i consumatori e piccoli spacciatori.
Milioni di euro per i tribunali – mediamente oltre 9 milioni l’anno dal 2008 al 2012 – ingolfati da migliaia di processi.
E, soprattutto, milioni di euro spesi per l’incarcerazione di massa.
Dal 2006 al 2014, ovvero negli anni in cui è stata in vigore la legge Fini-Giovanardi, circa 250.000 persone sono entrate in carcere per violazione dell’art. 73 (detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti), ben meno grave dell’art. 74 (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).
Un dato che, nonostante l’abolizione di questa legge, non ha subito grandi cambiamenti. Stando all’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone infatti i detenuti presenti per violazione del TU stupefacenti nel 2016 rappresentano il 34,2% del totale e, ognuno di loro, costa allo Stato 132 euro al giorno.
Considerando che questa cifra è stata pressoché stabile nel corso degli ultimi anni (è aumentata e diminuita all’aumentare e diminuire dei detenuti, senza grandi variazioni del budget totale), non è una forzatura affermare che lo Stato abbia speso in questi anni qualcosa come oltre 14 miliardi di euro per detenere persone che, nella maggior parte dei casi, non hanno commesso reati contro la persona.
Altissima è anche l’entità delle entrate che sarebbero potute finire nelle casse dello Stato sotto forma di tassazione ed invece sono andate ad arricchire la criminalità organizzata.
L’ultima Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia indica che le attività legate agli stupefacenti in mano alla criminalità organizzata hanno un valore pari allo 0,9% del PIL nazionale.
Secondo uno studio di Transcrime i ricavi della criminalità organizzata dal mercato della droga nei 27 paesi UE [lo studio è precedente all’ingresso della Croazia] ammonterebbero a 27,7 miliardi di euro; la cannabis contribuirebbe con 6,7 miliardi.
Nell’ipotesi meno negativa di Transcrime, questi numeri collocano l’Italia al secondo posto in Europa, dopo la Gran Bretagna (5 milioni di euro contro i 5.3 inglesi) per ammontare annuale del guadagno per la criminalità organizzata.
Risorse che, invece di finire alle narcomafie, potevano andare a riempire le casse dello Stato ed essere investite per la riduzione del danno, per l’educazione dei più giovani rispetto al tema droghe, nonché per il miglioramento del sistema di welfare pubblico.
Stando ad uno studio del prof. Rossi, ricercatore di Economia presso l’Università “La Sapienza” di Roma, pubblicato nell’Ottavo libro bianco sulle droghe, lo Stato potrebbe guadagnare, tra imposte sulla vendita, imposte sul reddito e minori spese per sanità e repressione, tra i 3 e i 5 miliardi di euro all’anno dalla legalizzazione della sola cannabis. Più di un miliardo di euro di entrate deriverebbe soltanto dalla tassazione dei lavoratori che ruoterebbero intorno al mercato della cannabis. Mercato che, nel caso di una completa liberazione (produzione nazionale, liberalizzazione degli scambi, rete di coffee shop), arriverebbe a impiegare quasi 400 mila addetti tra lavoratori stagionali e impiegati.
Fonti
6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe. Dopo la Fini-Giovanardi: un anno di transizione e contraddizioni. AA.VV. Edizione 2015 su dati 2014
8° Libro Bianco sulle droghe. Dalla semina americana al deserto italiano. AAVV 2017
Antigone. Rapporto 2015 sulle condizione di detenzione di Antigone “Oltre i tre metri quadri”, Edizioni Gruppo Abele, 2015
Antigone. “Torna il carcere. Tredicesimo Rapporto sulle condizioni di detenzione” 2017
Transcrime. From illegal markets to legitimate businesses: the portfolio of organised crime in Europe – Final Report of Project OCP – Organised Crime Portfolio.
Rapporto annuale al Parlamento 2015 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia – Dipartimento delle Politiche Antidroga
Relazione annuale al Parlamento 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia le attività legate agli stupefacenti – Dipartimento delle Politiche Antidroga
Giustizia – Statistiche Ministero della Giustizia
Costi. Alcune implicazioni fiscali di scenari alternativi alla proibizione della cannabis – Studio del prof. Marco Rossi, Università La Sapienza, 2015.
Le politiche sulla droga: i diversi approcci
Nel mondo esistono ancora diversi modi per affrontare il tema droghe, in particolar modo riguardo alla cannabis.
Ormai da decenni alcuni Paesi hanno legalizzato o depenalizzato l’uso di marijuana, altri hanno intrapreso questa strada negli ultimi anni. Ne esistono però altri che proseguono sulla strada della criminalizzazione dei consumatori, alcuni addirittura con la pena di morte per chi venga trovato in possesso di queste sostanze.
Colorado
Colorado Amendment 64, 6 Novembre 2012
Nel 2012, lo Stato del Colorado ha votato una legge – Amendment 64, o Atto sulla regolamentazione della marijuana come l’alcol – per tassare e regolare l’uso della marijuana da parte di adulti.
Successivamente è stato anche legalizzato un programma per lo scambio di siringhe a fini di prevenzione dell’HIV, nonché istituito un sistema regolamentatore dell’uso della marijuana a fini medici.
Da quando, il 1 Gennaio 2013, sono stati aperti i primi negozi di commercio di marijuana, vi è stata da un lato una riduzione dei tassi di criminalità e degli incidenti mortali e dall’altro un aumento nelle entrate fiscali, nella produzione economica e nell’occupazione.
Cosa prevede la legge: l’accesso a siringhe pulite, il training sull’utilizzo del naloxone e l’istituzione di programmi di distribuzione disponibili al pubblico; la cosiddetta legge del Buon Samaritano (911 Good Samaritan Law) che protegge le persone da arresto e accusa per possesso di droghe in conseguenza di una chiamata alla 911 (l’equivalente del nostro 113) per segnalare un’overdose; accesso legale al metadone; possesso e uso di marijuana a fini medici, sistema di distribuzione di marijuana a fini medici regolamentato a livello governativo.
Sanzioni penali: Secondo una stima della Drug Policy Alliance, nello stato ci sono circa 16.658 arresti per crimini di droga ogni anno.
Vi è un’apparente disparità razziale in tali arresti – il cui 89% riguarda bianchi mentre “solo” l’11% persone di colore – che è però motivata dalla composizione della popolazione del Colorado: considerato che tale popolazione è quasi al 90% bianca, mentre gli afroamericani sono solo il 4,4%, il “bias” razziale cambia notevolmente.
Non sono più previste l’incarcerazione o sanzioni penali monetarie per il possesso privato di marijuana fino a quantitativi massimi di un’oncia (circa 28,30 grammi), la coltivazione di marijuana fino a un massimale di sei piante, di cui al massimo tre mature, la cessione di marijuana per quantitativi inferiori ad un’oncia.
Status report – conseguenze della legalizzazione della marijuana in Colorado
Ecco alcuni dati a un anno dall’inizio del commercio al dettaglio e due anni dalla decriminalizzazione:
- Riduzione del numero di arresti e conseguente risparmio sul sistema giudiziario: gli arresti per possessi di marijuana sono stati ridotti dell’84% (nel 2010, 9011 persone sono state arrestate per possesso di marijuana; nel 2014, soltanto 1464) nonché un decremento del 90% nel numero di arresti per coltivazione e distribuzione di marijuana; milioni di dollari sono stati risparmiati nei costi di aggiudicazione per casi di possesso, riducendo i costi del sistema giudiziario;
- Diminuzione dei tassi di criminalità: a Denver, vi è stato una riduzione del 2,2% dei crimini violenti, del 9,5% dei furti e del 8,9% dei crimini contro la proprietà;
- Entrate fiscali: tra Gennaio ed Ottobre 2014, sono stati incassati $ 40,9 milioni dalla vendita al dettaglio di marijuana. Da notare che $ 2,5 milioni sono stati utilizzati per aumentare il numero di professionisti della sanità in scuole pubbliche e ridurre il divario tra i vari distretti scolastici relativamente al supporto per la salute mentale e l’educazione all’uso della droga;
- Riduzione negli incidenti fatali: diminuzione del 3% degli incidenti fatali tra il 2013 e il 2014 (da 449 a 436 morti);
- Benefici economici: quella della marijuana è l’economia in più rapida crescita negli Stati Uniti, con 16.000 persone aventi licenza. Ad esempio, i dispensari “Evergreen Apothecary” e “Colorado Harvest Company” hanno creato 280 posti di lavoro (paga media oraria di 17$) e consistenti entrate economiche ($30 milioni nel periodo tra Gennaio e Giugno 2014), pari a 10 volte il contributo alle entrate fiscali apportato da un tipico ristorante o negozio di vendita al dettaglio;
- Programmi di prevenzione giovanile: sono stati allocati $8 milioni in programmi rivolti ai giovani ($2,5 milioni per operatori nel settore della sanità giovanile; $2 milioni per programmi di sviluppo giovanile a stampo comunitario; $4,3 milioni per programmi all’interno delle scuole rivolti a studenti che utilizzano marijuana).
Uruguay
Marijuana Bill, 10 Dicembre 2013
Una politica sulle droghe a “doppio standard”: l’attuale politica sulle droghe uruguayana si configura come un Giano bifronte che, da un lato si basa sulla completa legalizzazione della produzione, la vendita e l’uso di marijuana, mentre dall’altro porta avanti una linea durissima sulle altre sostanze.
Cosa prevede la legge: Secondo la legge federale dell’Uruguay, il possesso di cannabis è legale già dal 1974 e, con il Marijuana Bill entrato in vigore il 6 maggio 2014 lo Stato è ufficialmente diventato la prima nazione al mondo a passare una regolamentazione permissiva del consumo, nonché la produzione e vendita di marijuana a scopo ricreativo.
I cittadini maggiorenni possono comprare un massimo di 40 grammi al mese da apposite farmacie autorizzate. Tali attività devono essere registrate su un database governativo al fine di monitorare i dati effettivi di acquisto.
Gli uruguayani possono inoltre coltivare fino a sei piante di marijuana per anno (che corrispondono ad un massimo di 480 grammi) individualmente, ma molte di più – 99, per la precisione – se si associano in uno “smoking club”. Tali associazioni sono composte da un numero variabile tra 15 e 45 membri, ognuno dei quali può portare a casa al massimo 480 grammi di marijuana ogni anno.
Da notare che tali quantitativi – relativi al numero delle piante coltivabili, tanto individualmente quanto socialmente – sono stati da alcuni criticati come arbitrari.
Fumare marijuana a lavoro, in luoghi pubblici, in strutture sanitarie, scolastiche o sportive continua ad essere illegale, così come illegale è la guida di qualsiasi tipo di veicolo sotto l’effetto di sostanze. È infine proibito pubblicizzare prodotti psicotropi (i.e., contenenti più dell’1% di THC) a base di marijuana.
L’uso di marijuana medica richiede la prescrizione del medico e l’approvazione ministeriale. Allo stato attuale, il governo uruguayano è ancora impegnato nella costruzione del network di dispensari e nella loro regolamentazione tramite un set comprensivo di politiche. È stato imposto ad ogni istituzione educativa di includere corsi sulla prevenzione all’uso di droghe e alla guida in stato di intossicazione.
Sanzioni penali: sono previste lievi multe (una cifra tra l’equivalente di 2 e 87 dollari) per piccole violazioni, ma anche alcune più salate – fino al corrispettivo di 63.000 dollari – per crimini più significativi. Altre misure utilizzate sono la distruzione o il sequestro della coltivazione di marijuana, nonché la sospensione o la revoca della licenza e l’espulsione dal registro.
L’uso personale di droghe diversa dalla marijuana è comunque decriminalizzato ma la classificazione di un quantitativo come rispondente o meno a tale categoria resta nella discrezionalità del giudice. Ancora più significativamente, qualora un soggetto venga arrestato, può – se identificato come in stato di dipendenza – essere sottoposto a trattamento forzato.
Paesi Bassi
Qui vige la cosiddetta “politica della tolleranza”. L’approccio olandese alla questione delle droghe è basato infatti su una separazione tra droghe pesanti – vietate e severamente criminalizzate – e cannabis.
Cosa prevede la legge: sono tollerati tanto il consumo e il possesso (fino a 5 grammi) e la coltivazione (di 5 piante al massimo) quanto la vendita, che avviene sotto rigida prescrizione, negli appositi “coffeeshops” autorizzati. Dal 2013 si è inoltre previsto che solo i residenti nei Paesi Bassi possano accedere a tali esercizi commerciali.
Svezia
La stigmatizzazione sociale e l’esclusione dal mercato del lavoro e dai servizi sociali sono la sanzioni più comuni in situazioni di consumo personale. La polizia porta avanti un programma di “disturbo” rivolto ai consumatori, supportato dalla politica nazionale di “tolleranza zero”.
Cosa prevede la legge: è illegale vendere, trasferire, acquistare, usare o possedere cannabis (in qualsiasi quantitativo).
Singapore
Cosa prevede la legge: La legge sull’abuso di droghe risale al 1973 e divide le droghe in tre categorie (A,B,C). La marijuana è inclusa nella categoria A e la sua coltivazione, possesso e vendita sono illegali.
Vige la pena di morte per ogni soggetto che venga trovato colpevole di importare, esportare o possedere le seguenti quantità di droga: 120 grammi di oppio (contenenti più di 30 grammi di morfina); 30 grammi di morfina; 15 grammi di eroina; 30 grammi di cocaina; 500 grammi di cannabis; 1kg di mistura di cannabis; 200 grammi di cannabis resina; 250 grammi di meta-anfetamine.
La pena di morte è stata imposta a più riprese per il traffico di cannabis.
Secondo la stima di Think Centre, un’associazione locale per la difesa dei diritti civili, il 70% delle impiccagioni sono motivate da condanne per crimini di droga.
Ciò nonostante, si può rilevare qualche progresso negli ultimi anni, grazie a una maggiore trasparenza nell’applicazione della pena capitale. Poiché il Prison Service di Singapore ora riporta il numero di esecuzioni eseguite ogni anno nella sua relazione annuale, compreso il reato per il quale l’autore è stato condannato, si rileva come il numero delle esecuzioni effettuate sia drasticamente diminuito (nel 1999, 35 persone erano state condannate a morte per crimini di droga; nel 2014, soltanto 2).
Nel 2012, si è proposto di riconsiderare l’obbligatorietà della pena di morte per il traffico di droga e sono state da allora apportate alcune modifiche alla vecchia legge del 1973: conseguentemente, la pena di morte è ancora prevista per il traffico di droga, ma viene applicata molto meno.
A noi quanto costa?
Il proibizionismo ci costa 1,5 miliardi di euro ogni anno tra carceri, polizia e tribunali.
E perdiamo anche tra i 7,5 e i 13 miliardi di mancate entrate ogni biennio, tra imposte sulle vendite e sul reddito non riscosse.